2/18/2011

Roberto Benigni-150 anni dell'Unione d'Italia

Roberto Benigni
150 anni dell'Unione d'Italia



Questo è un post serio, pensante, sarebbe opportuno che tutti lo leggeressero con il dovuto riguardo. Grazie.

"Il vero patriota non ritiene mai il suo paese il migliore di tutti, è pericoloso; però quell'allegria, quella gioia, quell'orgoglio gioioso allegro di vivere in un luogo che uno ama e che dice, a me insomma, mi piace proprio tanto, quello è sano, sanissimo. E' il nazionalismo che è una malattia, no? Il razzismo poi è la follia. Ma un sano patriotismo è la cosa più di salute che ci sia al mondo.

Amarla troppo non fa mai bene, perchè troppo è sempre sbagliato, anche l'amore. Quanti errori vengono fatti perchè gli voleva troppo bene, per troppo amore, non esiste troppo amore. L'amore è come la morte, o sei innamorato o non sei innamorato, o sei morto o non sei morto. E' troppo morto, no, non è troppo morto, uno è morto o non è morto. L'amore e la morte sono uguali. E l'amore quando si ama, bisogna amare in maniera che uno si sente, arrivi lì e non è che vali più o meno, c'è una misura che non si va nè su nè giù, è proprio... è l'eternità." Roberto Benigni

"I popoli non dovrebbero aver paura dei propri governi: sono i governi che dovrebbero avere paura dei propri popoli." V cita Thomas Jefferson

E' questa rassegnazione generale del popolo italiano che mi sconcerta, mi fa rabbrividire, anzi, mi terrorizza. E' giunto il momento di destarsi, non credete?

"L'unità è talmente bella che permette pure che qualcuno dice: non la festeggio!" Roberto Benigni

La libertà è meravigliosa, è una cosa così preziosa e di un valore inestimabile.
Per ottenere la "libertà" la gente abbandona persino il proprio paese!
Pensate che atroce dolore, lasciare le radici, abbandonare la propria vita per averne un'altra, una vita finalmente libera!
La gente fa di tutto pur di ottenere un bene così umano: la possibilità di scegliere il proprio destino, di poter "scegliere".
Sembra così normale poterlo fare, così scontato, come se fosse persino dovuto.
E invece è una fortuna donata da un passato, da uomini che hanno avuto coraggio.
Proprio come quel coraggio di chi, lasciando il proprio passato, ne ha cercato un altro.
Un futuro che diverrà il suo passato, in un posto lontano.
Un futuro libero in una seconda "casa", purtuttavia con la nostalgia di quella natia ormai abbandonata.

___________
INDIFFERENTI
(Recitata da Paolo e Luca-Sanremo 2011)
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

"La Città futura" di Antonio Gramsci, pp. 1-1 Raccolto in SG, 78-80.
Fonti: Sito-Antonio Gramsci


Basterebbe soltanto riflettere attentamente sulle parole di questi grandi uomini, saggi e memorabili che possono alimentare le nostre menti. E magari farci "svegliare" e "smuovere". Perchè una Nazione unica al mondo dovrebbe essere salvata dal male che la sta distruggendo.



Nessun commento: